Il poeta maledetto

 

Dove ancor oggi come un giorno antico
va respirando il greco a fior di sponda,
pallido figlio della terra emerse
dai profondi silenzi e disegnando
le dure vene sotto il cappellaccio
attese al sogno d’arte.
C’era, nel gelo dei candori albali,
l’ansia della tempesta martellante
donde l’artiere, in fuga d’ideali,
sublimò il suo tormento. Ah, ch’io lo pensi
nell’atto di scagliarsi contro il sole,
scolpito nel durevole ricordo
dell’attica sembianza – vivo e dolce
d’umanità lo spirito anelante –
soave nell’immagine del’uomo
siccome in quella d’un eroe, d’un dio
sul piedistallo eterno della gloria…

Le fiamme rinnovate del mattino
accendevano i rami e i tronchi nudi
scheletriti nel tempo,
sollevando faville sul cammino.
La creatura dell’adusta terra
bevve all’antica fonte, poi sostando
sulle sponde del mare incandescente,
sentì salir su su fino alla bocca
il gorgogliante fremito del cuore
e, nel pieno furor del sacro fuoco
che ne ardeva le fibre, all’aria aperta
levò gagliardo il verso martellante.
E cantava, cantava e riso e pianto
si fondevano puri in una sola
gloria di ardenti desideri umani.
Le nubi, intanto, vaporose e lente
salivano giganti a mezzogiorno.

L’urgenza del destino lo distolse
dal canto assiduo. E cento e cento bocche
ridestarono il fervido richiamo:
<< Vieni sui colli nostri e adempi i voti! >>
Vagò pei colli, la pupilla fonda
fissa nel vuoto all’alto dilatata.
Piegavano sugli argini le canne
e raccoglieva raffiche di pianto,
il furore scrosciante della pioggia
era un getto di spine alla sua bocca.
E piangeva, e cantava ad ogni sosta,
fino all’ultima sosta, fino a che
schiuma di bava non sommerse il canto.
Si scosse, l’ampia mano
tesa in un gesto si levò nell’aria
e con l’ultima lacrima sul ciglio
nel morto canto s’abbattè riverso…

Alta nel cielo, sullo sfondo albale
appare la visione di una croce
rossa di sangue ad annunciare al mondo
la pietà virginale dei suoi canti.
Pallido figlio antico della terra
passa col suo dolore. A mani giunte
piega, percosso, sulla carne nuda
e in un lungo sospiro par che impetri
la salvezza al fratello che lo ascolta.
Pallido figlio della terra passa
col suo dolore antico sempre nuovo:
negli occhi i vivi spruzzi delle fiamme,
sul cuore i cupi fremiti del tono,
negli orecchi il rumor della tempesta,
sulla carne il bruciore delle piaghe
e in ogni fibra la passione umana
che s’infiltra ed uccide…
O tu che vai, dolente creatura,
sui sofferti cammini ferma il passo
e attendi alle sue stanze dove echeggia
anche il tuo grido di dolore e dove
pensi il conforto ad ogni tuo martirio
che si trascina per le vie del mondo.

 

Il Dragomanno
Fiamma Perenne(1949)

 

 

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