Ànno nuovo…
Negli ultimi due suoi articoli, Il Langense lamenta l’uso – e ne consiglia la soppressione – del verbo avere qualora venga scritto senza la lettera acca. Stigmatizza i casi in cui si impiegano soprattutto “à” anziché “ha” e “ànno” anziché “hanno”. Esposto così, l’argomento si pone senza dubbio con aspetto favorevole, perché in sintonia con il linguaggio attuale e, aggiungo, senza sbavature che possano consentire una grande difesa. Le mie osservazioni, che espongo qui di seguito, invece, si basano ancora una volta sull’aspetto convenzionale che vige in enigmistica. Il rebus, come la crittografia, ha un linguaggio stereotipato e, come dicono i dotti, stratificato nel tempo. Con il trascorrere degli anni abbiamo un po’ tutti impiegato vocaboli di comodo, giusto per poter chiudere le chiavi che altrimenti sarebbero rimaste ferme nella serratura.
E così hanno prestato il loro servizio le famose are, le ile, e poi ancore uose, usto, avo, mo’, or, v’è, eccetera. Tutte parole che sono state al nostro servizio come silenziose cameriere, pronte sempre alla bisogna. Questi lemmi hanno avuto una funzione marginale, non sono mai state chiavi “di sostanza”, bensì, ripeto, di supporto. La mia non è una difesa “tanto per”: basa la sua arringa sul fatto che se dobbiamo licenziare “à” e compagni, dobbiamo licenziare anche i vari termini desueti cui ho fatto cenno. Il rebus ha un suo linguaggio, molto spesso travisato da chi ha letto frettolosamente la grammatica e che ancor oggi condanna l’impiego dell’avverbio di luogo senza prima aver nominato il luogo. Ho ripetuto fino alla nausea che non è vero: le grammatiche non dicono assolutamente questo e agli stessi signori frettolosi consiglierei una salutare rilettura degli avverbi e dei pronomi (già, perché invece, per i signori frettolosi, “lui”, “egli” ecc. possono essere usati!). Dobbiamo sempre ricordarci che la convenzione ci permette di interpretare le immagini a nostro uso e consumo, per cui il cane non ringhia al gatto ma “l’odia”, un uomo che ha in mano un rosario è un “pio” e addirittura un vecchio con la barba, solo perché ha tanti libri è un “saggio”. E via così. Capisco l’obiettivo del Langense, ci mancherebbe, ma un conto è cambiare il nome della rugginosa mnemonica in frase bisenso per farci capire dal mondo esterno, e un conto privare gli autori di inviare un capolavoro solo perché appare il verbo senza la acca (che molti dizionari registrano, anche se desueti).
Sono d’accordo Guido.
A volte per un rebussista, nel concludere una frase , chiaramente se bella, ha
necessità di à al posto di ha , o an al posto di hanno .
Certo sarebbe interessante poter usare ha o hanno con tranquillità, ma la frase molte volte non lo permette per ovvi motivi.
Consentitemi anche nel dire che mantenere à o an , secondo il mio modesto
parere rendono il rebus bello , come se ci fosse ancora un collegamento con
un passato linguistico . Quello che dico, ripeto, è solo una mia visione e
pieno rispetto per tutte le altre. Grazie dello spazio. Excalibur