L’equipollenza

Ho più volte esternato, esponendomi sempre in prima persona, il mio pensiero sull’etimologia. Mi riferisco
all’equipollenza o, per dirla con i linguisti, alla corradicalità dei termini che adoperiamo per i nostri lavori
enigmistici. La mia posizione al riguardo è semplicissima: considero corradicali due termini che ancora
oggi, nel 2015, conservano il loro significato e, soprattutto, il loro impiego. Il termine manica ha conservato
il suo significato primitivo e ancor oggi, in essa, ci infiliamo la mano; idem per occhi/occhiali, Italia/italiani
e così via. Del tutto differente, sempre a parer mio, il discorso per un vocabolo come, ad esempio, leggenda,
che lo Zingarelli data al 1287 e che, nell’etimologia così recita: “vc. dotta, lat. legĕnda (nt. pl.) ‘cose che si
devono leggere’, f. del gerundivo di lĕgere ‘leggere”.
Oggi la leggenda è soprattutto un “evento storico

deformato dalla fantasia popolare”, non più una cosa che si deve leggere. Il vocabolo, quindi, con il trascorrere
del tempo, ha preso una strada diversa da quella primigenia. Questo, in sintesi, il mio pensiero che manifesto
da sempre. Grande è stata la mia sorpresa quando ho letto la prefazione di Giacomo Devoto al suo libro
“Avviamento alla etimologia italiana”:
Perché l’etimologia deve proporsi come ideale il traguardo del latino, sentirsi menomata se si ferma al di qua,
ma del tutto distaccata da quanto si trova invece al di là? L’etimologia in sé non significa niente: è un fatto
erudito, per il quale una parola, staccatasi a suo tempo da un’altra parola, e per ciò stesso dimentica dell’antico
legame, viene ricondotta alla sua origine grazie a un procedimento di “ricerca della paternità”.
Se noi ci rendessimo conto o avessimo sempre presente che “cattivo” significava un tempo, come è detto anche
in questo libro, “prigioniero (del diavolo)”, noi falseremmo il significato della parola italiana, oppure
le
assegneremmo, nel quadro del lessico italiano, un campo di azione diverso da quello che le è proprio.

Quindi Devoto pone un punto fermo su quanto sia indispensabile oggi operare una netta separazione nell’ambito
del significato. Se così non fosse, e se si volesse a tutti i costi considerare un termine con il dizionario alla
mano, precipiteremmo in una babele spaventosa. Come se non bastasse, fare ciò presupporrebbe anche
una conoscenza linguistica che è probabilmente privilegio di pochi e, inoltre, ci sarebbero molti disagi soprattutto
per vocaboli difficili da esaminare. Infine vorrei richiamare l’attenzione che abbiamo sempre (e solo) giudicato la
corradicalità in funzione del prefisso di un vocabolo e non della desinenza. Strano, perché abbiamo accettato
tantissimi parenti con l’uscita in -zione, -mento, desinenze verbali identiche e così via. E non finisce qui perché,
allo stesso modo, abbiamo sempre accettato i termini con l’apertura in con-, in- eccetera.

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